Prince of Persia per Amiga

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Ciao a tutti amici di commodoreblog.com, oggi facciamo una bella chiacchierata su un titolo che non ha bisogno di presentazioni, quel Pince of Persia che all’epoca lasciò tutti con la mascella sul pavimento sia per quel che riguarda l’aspetto tecnico che la giocabilità impensabile fino a quel momento.

Prince of Persia, ricordi dal 1990

Un gioco che mi porta indietro negli anni e come me credo molti di voi: la DeLorean è carica e pronta  partire per un lungo viaggio. Era una sera d’inverno del 1990 e come ogni venerdì che si rispetti ci si trovava a casa di un amico per videogiocare in compagnia. Stavamo disquisendo del più e del meno in una camera mediamente buia, come lo erano quasi tutte le camere di noi gamers in quegli anni. Ambienti quasi tetri, illuminati il più delle volte dal bagliore del Tv Crt e da una piccola lampada che ci permetteva di vedere la tastiera del computer.

Il dischetto azzurro

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Quella stanza era esattamente così, la penombra era spezzata dal rosso tizzonare di sigarette accese. In quell’ambiente fumoso, dove lo stereo collegato al computer suonava chip music delle demo scenes dell’epoca, uno dei presenti tirò fuori dalla tasca del bomber un dischetto azzurro. “Raga mi hanno passato questo oggi pomeriggio, lo devo ancora vedere”. Sul dischetto, arrivato da chissà quale cassettone zeppo di “copie di sicurezza”, c’era scritto a pennarello Prince of Persia.

La reminiscenza di Prince of Persia

Tutti avevamo una reminiscenza, il ricordo di un titolo simile uscito l’anno precedente su Apple II, ma nessuno aveva ben presente di cosa si trattasse di preciso. Si, qualche immagine su qualche giornale, forse intravisto in qualche negozio di computer messo a girare per cercare di vendere ancora qualcuna di queste macchine. Eh si, Apple II era una specie di brontosauro in quegli anni: uscito sul mercato nel lontano 1977 era ormai sul viale del tramonto. Ma molto si deve ad esso se il mercato degli Home Computer ebbe lo sviluppo che tutti conosciamo. Noi d’altronde eravamo troppo giovani per conoscere davvero bene quel leggendario computer: la maggior parte di noi entrò in questo mondo alternativo grazie al commodore 64.

La serata non fu più la stessa

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Perciò quel dischetto azzurro divenne il protagonista della serata: bene o male ogni venerdì qualcuno portava qualcosa di nuovo, e quel giorno toccò a Prince of Persia. Inserito il dischetto nel fidato Amiga 500 espanso ci accoglie subito la schermata dei craccatori Angels e la bella musica molto 8 bit che faceva da intro al gioco vero e proprio. Non era ancora presente nessun train in quella versione, alcune settimane dopo ne arrivò un altro che era “Cracked and trained by Angels”. Dopo una manciata di schermate statiche e animate di introduzione ecco la prima, leggendaria schermata del gioco con il protagonista  che cade e si accovaccia.

Prince of Persia e la sua animazione

Pochi movimenti di Joystick ci mettono subito KO: l’animazione dello sprite principale è da strapparsi i capelli.
A questo punto è doveroso un piccolo excursus storico: la prima incarnazione del gioco, dicevamo, uscì su Apple II nel 1989 sotto l’etichetta Broderbund e realizzato da Jordan Mechner. Non vi dice nulla questo nome? Il signore in questione, oltre ad essere oggi un affermato scrittore, sceneggiatore e regista, è colui che nel 1984 programmò Karateka. Questo primo gioco lo realizzò come progetto collaterale tra le sue lezioni all’università: Broderbund fornì a Mechner una copia di Choplifter, uno dei giochi più venduti dell’epoca, per commissionargli un videogioco. Utilizzando alcune delle funzionalità grafiche fornite da Choplifter Mechner si concentrò su un gioco a tema karate: egli voleva creare animazioni fluide usando la capacità di Apple II di otto fotogrammi al secondo.

Il rotoscoping di Jordan Mechner

Per creare le animazioni usò il rotoscoping, disegnando a mano ogni fotogramma basato sulle mosse del suo istruttore di karate. E utilizzò lo stesso concetto con Prince of Persia, usando come riferimento i video di suo fratello che faceva acrobazie in abiti bianchi. Non solo, egli utilizzò come ispirazione anche il film “Le avventure di Robin Hood” del 1938.
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Prince of Persia, la trama

La trama del gioco è degna dell’avventura che ci si accinge a giocare: Jaffar, il visir di Persia, sale al potere mentre il sultano è in battaglia in terre lontane. Jaffar è anche un potente mago ed ordina alla figlia del sultano di divenire sua sposa, altrimenti sarebbe morta in un’ora. Il protagonista senza nome, nonché amato dalla principessa, viene così gettato nei sotterranei del palazzo, luogo dal quale non avrebbe mai potuto nuocere. Il nostro personaggio ha così un’ora di tempo per uscire dalle sue prigioni, arrivare nella torre più alta del palazzo e affrontare Jaffar. La sua strada sarà costellata di pericoli, trappole, guardie armate e da un “sosia”, un’esatta copia di se stesso evocata da uno specchio magico.

Un’ora di tempo, nasce il platform cinematografico

Abbiamo perciò sessanta minuti di tempo per compiere questa missione e vi assicuro che non è tanto. L’azione è qualcosa di innovativo per l’epoca, tanto da coniare il genere di platform cinematografico. L’azione si svolge all’interno di schermate fisse in ognuna delle quali c’è sempre da studiare qualche mossa. Non è un banale gioco di piattaforme salta qui e li: le schermate hanno una certa complessità e vanno analizzate prima di essere affrontate.
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Il giocatore ha un indicatore di salute che consiste in una serie di piccoli triangoli rossi, inizialmente in numero di tre. Ogni volta che il protagonista viene ferito da una spada, o cade da due piani di altezza o ancora viene colpito da una roccia, uno di questi indicatori viene spento.

Non esiste il concetto di vite in Prince of Persia

Durante il nostro peregrinare verso la torre ci imbattiamo in alcune ampolle: quelle rosse ripristinano una tacca di salute, mentre le pozioni blu sono velenose e ce ne tolgono una.
Ci sono anche vasetti di pozione rossa che aumentano il numero di tacche di salute di uno: se la salute del giocatore viene ridotta a zero, il protagonista muore. Non esiste il concetto di vite in Prince of Persia: c’è questo indicatore e il tempo che scorre. Ogni volta che si muore si ricomincia all’inizio della sezione in cui si era, mentre il tempo continua a correre.
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12 livelli e un equilibrio incredibile

In totale ci sono ben 12 livelli e solo dal secondo esiste una possibilità di salvataggio della sessione di gioco. Il primo livello è quello che ci aiuterà a prendere dimestichezza con i comandi di gioco visto che gli enigmi e le trappole sono minimi e si deve cercare la spada del guerriero morto che ci permetterà di difenderci in seguito. Si inizia così a prendere confidenza con la splendida inerzia che ha il personaggio dopo la corsa e ad aggrapparsi ai bordi e tirarsi su con le braccia. Altri movimenti possibili sono camminare con cautela, calarsi verso il basso, fare salti in lungo, aggrapparsi al volo dopo un salto per non cadere nel vuoto.

Un’animazione che ha fatto storia

In precedenza ho accennato alla pazzesca animazione dei personaggi: è difficile spiegare la perfezione di questa a parole. L’affermazione sul pacchetto di gioco recita più o meno così:”…Apre nuovi orizzonti con un’animazione così misteriosamente umana che deve essere vista per essere creduta”. Nulla di più vero poteva essere scritto. Charles Ardai di Computer Gaming World ha affermato che “riesce ad essere qualcosa di più di un corri e salta perché cattura la sensazione di quei grandi vecchi film d’avventura”: egli concluse che si trattava di “un risultato eccezionale”.
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Prince of Persia, inizialmente fu un flop

E pensare che inizialmente il gioco fu un flop pazzesco. Nel suo primo anno di vita vendette poche migliaia di copie. Nell’anno successivo, con l’uscita sul mercato delle conversioni, le vendite esplosero. E non poteva essere altrimenti, quando un gioco è semplicemente un capolavoro il suo destino deve essere questo. Quella sera iniziò la magia: ci alternavamo ad ogni vita persa al comando del Joystick per cercare di passare una stanza in più aiutandoci l’uno con l’altro. “Attenzione alle trappole” era la frase più ricorrente: pavimenti con le punte, pozzi profondi tre o più livelli e ghigliottine. L’unione faceva la forza anche con gli enigmi, ognuno ricordava la determinata pedana che apriva una porta a tempo mentre un altro ricordava che subito dopo c’era una trappola. Tutta questa cooperazione per non perdere tempo morendo inutilmente.

Prince of Persia e le guardie di Jaffar

Affrontare gli spadaccini nemici diventa abbastanza agevole una volta prese le dovute misure: una volta estratta la spada si può avanzare, arretrare, colpire e parare. Anche i cattivi di turno hanno tre tacche di energia, perciò colpiti tre volte cadranno esanimi al suolo. C’è un altro modo per sconfiggerli e lo abbiamo imparato al terzo livello.
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Qui appare uno scheletro spadaccino e solo il paradiso sa quante bestemmie sono volate per ucciderlo visto che sembrava non morire mai. Ed in effetti non si può sconfiggere con la sola spada, lo si deve far cadere in una trappola! Questo sistema alquanto rapido vale anche in tutte le altre occasioni ove si potrà far volare qualche seguace di Jaffar giù per qualche baratro o in botole con le punte.

Prince of Persia e l’alter ego oscuro

Un discorso a sé meritano le apparizioni del proprio sosia, vere e proprie perle filosofiche all’interno di un gioco entusiasmante. Il salto nello specchio nel quarto livello vede la prima apparizione di un alter ego oscuro, un’ombra, simbolo del lato nascosto che tutti quanti abbiamo dentro di noi, l’altra faccia della stessa medaglia. Un lato che l’uomo vuole tenere celato, del quale si vergogna e che vorrebbe sconfiggere. Ma come ogni medaglia ogni lato è unico e non ci può essere l’uno senza l’altro. Giunti quasi alla fine del gioco ecco che lottare con il proprio lato malvagio toglie vita anche al nostro lato buono: l’unica cosa da fare è deporre l’arma, unire le due personalità ed andare avanti con la consapevolezza di entrambe.
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Metafora di vita a 16 bit

E così accade nel gioco, una metafora di vita che scorre su un Tv color: dopo i primi due incontri con se stessi al terzo c’è la consapevolezza dell’unione, del tutt’uno. E solo così si potrà sfidare il malvagio visir Jaffar e, una volta sconfitto, riabbracciare la bella principessa.
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Riflessioni del Biker

Inutile girarci intorno, la versione Amiga di Prince of Persia è qualcosa di fantastico: nel 1991, il gioco è stato classificato il 12 ° miglior gioco Amiga di tutti i tempi da Amiga Power. Uno dei pregi di questa versione sta nell’aver migliorato molti dettagli della versione originale senza stravolgere il gioco, atmosfere in primis. La grafica dei fondali è resa in maniera migliore ma è lei, non è stata stravolta come nelle versioni per le console a 16 bit. E quella grafica è ciò che regala al giocatore quella sensazione di prigionia, di claustrofobia: la ripetitività cromatica data dalla semplicità di quelle location è ciò che le rende realistiche, è ciò che ci aiuta ad immergersi nel gioco.
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Anche gli sprite sono fedelissimi all’originale e così è giusto che sia. A mia personal opinione ogni altra conversione che ne modifica questi aspetti con l’intento di migliorare il gioco non fa altro che peggiorarlo inevitabilmente. Il comparto audio è a dir poco perfetto, i suoni campionati spezzano il silenzio che deve dominare queste location, l’immersione nel gameplay è totale. Una sera come molte altre sta per cominciare nella tetra stanza di un retrogamer con la barba ormai imbiancata. La luce del monitor illumina tenuamente la scena mentre le mani stringono un joystick. Oggi, come allora, la magia sta per cominciare. Mic the Biker vi saluta cari lettori e vi da appuntamento alla prossima. Ora qualche lettura per voi direttamente dal nostro blog.

Michele Novarina

Mic, tre lettere come negli highscore di una volta. Appassionato di videogames dagli albori degli anni 80.

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